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Ammentos 2019

A Cagliari il mio primo impatto con la storia    di Giovanni Longu

 

Mia mamma mi aveva parlato del rumore spaventoso che si udiva specialmente di notte al passaggio degli aerei americani negli ultimi anni di guerra, della ritirata dei tedeschi da un presidio situato in un paese vicino e del panico che qualche bomba cadesse anche in paese, a Bolotana. La paura era tanta perché nel paese c’erano soprattutto donne, bambini e vecchi: i giovani, anche mio padre, era stato richiamato e prestava servizio da qualche parte in Sardegna.

Non credo che a scuola (elementare) l’insegnante ci parlasse della guerra, di cosa era successo, ma ricordo che in classe era esposto un cartellone che riproduceva ordigni bellici, specialmente mine, con l’avvertenza di «non toccarli» e informarne subito i carabinieri.

Cominciai a capire qualcosa di più della guerra il giorno che arrivai in treno insieme a mia madre a Cagliari per entrare nella Scuola Apostolica situata in Viale Sant’Avendrace. Erano i primi di ottobre del 1954. Poco lontano dalla stazione notai enormi cumuli di macerie, molti palazzi sventrati dai bombardamenti, insomma danni reali della guerra non ancora rimossi.

Giunti alla Scuola, fummo accolti molto gentilmente dalla signorina Sanna, la direttrice, e dalla sua collaboratrice Teresa Mele. Quando mamma mi salutò piansi e non ricordo altro, ma so che le due signorine erano sempre molto premurose e gentili nei nostri confronti di bambini spaesati (eravamo credo una ventina). Di altre persone che si occupavano di noi purtroppo ricordo solo vagamente alcune figure ormai sbiadite dal tempo, tre gesuiti in particolare. Non abitavano insieme a noi, ma venivano spesso a trovarci. Uno era piuttosto anziano (credo si chiamasse padre Della Casa), un altro, più giovane, era il fratello della direttrice, padre Josto Sanna (professore e grande studioso del marxismo, come venni a sapere in seguito), e un terzo, di bassa statura, di cui non ricordo il nome.

L’ambiente, di cui per altro ricordo poco, era costituito da una villa e un parco-giardino. Mentre degli interni non ho conservato alcuna immagine precisa, gli esterni mi rimasero più impressi nella memoria perché a prima vista mi sembrarono immensi, enorme la villa su diversi piani, molto grande il campetto di calcio antistante, alte alcune palme, che mi colpirono perché portavano molti datteri che cadevano a terra, ma che non si potevano mangiare, così ci fu detto, perché non erano buoni.

Nel campetto si faceva la ricreazione e si giocava al pallone, ma il divertimento maggiore, mio e di altri, era andare a curiosare dietro la villa. Ci era stato detto che lì sorgeva un’antica necropoli del tempo dei Fenici, un popolo di commercianti, che avevano occupato la zona costiera di Cagliari, ma in seguito erano stati sopraffatti dai Romani. Il nostro divertimento di bambini curiosi era saltare tra le rocce, calarci in alcune cavità simili a vasche scavate nella roccia calcarea e sperare di trovare qualche reperto fenicio. Naturalmente non trovavamo niente.

Ci fu detto che quando arrivarono i Romani Calaris divenne una città importante dotata di un anfiteatro (che un giorno andammo a vedere, dall’esterno), un foro e altri edifici. Anche vicino alla Scuola ci fu detto che una grotta, ormai abbandonata e chiusa da un’inferriata, di cui non si riusciva a vedere il fondo, risaliva all’epoca romana ed era chiamata la Grotta della Vipera perché nell’architrave era scolpita una vipera. Non so se ci fu mai spiegata l’origine e la destinazione.

Il mio impatto con la storia durante il periodo trascorso a Cagliari non si fermò agli antichi Romani, perché risalgano certamente a quel periodo anche le mie prime curiosità sui giudicati sardi, sulla storia del «Castello» (Casteddu) e sulla storia moderna. Fu proprio nell’ottobre del 1954 che ci giunse l’eco delle grandi manifestazioni in tutta l’Italia per il ritorno di Trieste all’Italia (26 ottobre 1954, dopo dieci anni di amministrazione straniera imposta alla fine della guerra).

Un altro episodio, che sul momento non ebbe conseguenze, mi tornò in mente molti anni più tardi in occasione di una ricerca sul dopoguerra italiano e sui contrasti tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano. Non ricordo più i dettagli, ma solo che, curiosando nella villa insieme a qualche compagno, trovammo uno scatolone pieno di riviste illustrate. Ne prendemmo alcune e notammo che erano fatte a fumetto. Il titolo non ci diceva granché, «Il Pioniere», ma a noi piaceva il fumetto. Quando la direttrice lo venne a sapere, ci disse che quei fumetti non erano adatti a noi e non dovevamo leggerli più. Per quanto mi riguardava ne presi atto e tutto finì lì, fino alla riemersione del ricordo, privo di contorni, molti anni più tardi.

Ciò che non svanì mai, dell’esperienza cagliaritana, fu la sensazione che proprio a Cagliari, nella metropoli (rispetto a Bolotana), il mio mondo si era aperto a una conoscenza illimitata e estremamente interessante.

 

 

 
 
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