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Ammentos 2019

Tra Bonorva e Cuneo - Appunti di memoria   di Giovanni Serra

Nei mesi di Settembre – Ottobre del 1952, P. Giovanni Puggioni S.J. (Piscator) fece più di un viaggio a Villanova Monteleone, il mio paese natale. Cercava “bravi ragazzi” da portare a Bonorva, dove stava per nascere la Scuola Apostolica dei Gesuiti in Sardegna. Uno dei ragazzi su cui aveva gettato lo sguardo ero stato proprio io.

A Villanova, fino al 1962, non esisteva la scuola Media. Completate le scuole elementari a 10 anni, ero stato subito avviato al lavoro; non nella bottega di mio padre, che faceva il calzolaio, ma a fare il manovale muratore con uno zio materno. Nonostante questo, continuavo a fare il chierichetto, almeno la domenica, ed è in una domenica di Settembre che incontrai P. Puggioni per la prima volta.

P. Puggioni aveva un suo modo particolare di presentarsi e di attirare l’attenzione, soprattutto di noi ragazzi: parlava con entusiasmo dei Missionari Gesuiti andati in tutto il mondo, dalle Montagne Rocciose e dal Canada all’America Latina, dalla Cina all’India e all’Africa. Fu così che sentii parlare per la prima volta di San Francesco Saverio, Di San Giovanni De Britto, di San Pietro Claver, di P. Ricci, e molti altri.

Il mestiere di muratore a me piaceva molto, anche perché mio zio, mi mise da subito nella condizione di imparare il mestiere, facendomi fare cose sempre più importanti e impegnative. Ma anche l’idea di andare a studiare mi attirava molto. Iniziai a parlarne con i miei genitori e lo fece anche il P. Puggioni in una visita della fine del mese di Settembre. Non era facile decidere, perché già prendevo 450 lire a giornata, una cifra, allora, non disprezzabile in una famiglia di 9 figli e con un padre il cui lavoro diventava sempre più precario per l’aggressiva invadenza dei prodotti delle fabbriche. Dopo lunghe riflessioni, in cui entrò anche mio zio muratore che si opponeva con tutte le sue forze, i miei genitori diedero l’assenso alla mia partenza.

È così che il giorno della festa di tutti i Santi del 1952, a quasi 14 anni e dopo tre anni di lavoro da muratore, presi la strada di Bonorva, accompagnato da P. Puggioni. Con la corriera siamo andati alla stazione di Giave e poi a Bonorva con un treno a vapore. Arrivammo a Bonorva che era già notte: fui presentato subito al Rettore, che era P. Josto Sanna. Mi colpì molto. Aveva il tricorno in testa e un’aria solenne e distaccata. Mi disse, però, parole affettuose e incoraggianti. Seguì una breve visita al Santissimo Sacramento nella piccola cappella di casa e poi fui consegnato al P. Prefetto, che era il P. Marchiaro. Mi portò prima a conoscere i compagni, poi in camerata per assegnarmi il letto e l’armadietto personale.

Dei 5 anni di Scuola Apostolica a Bonorva e a Cuneo, ho ricordi nitidi di Padri, Fratelli Coadiutori, compagni. Ho presenti i luoghi che ho abitato. Ho memoria di molti episodi di vita vissuta. Non ho memoria di fatti particolarmente dolorosi o spiacevoli, non sono mai stato disturbato e neppure turbato. Anzi, ho ben appreso a governare la mia persona, i miei impulsi e i miei sentimenti. Quel tempo mi ha lasciato un senso di pienezza e di felicità; mi ha allenato alle relazioni e al dialogo; mi ha inculcato il senso del dovere e della responsabilità; mi ha aperto gli occhi sul mondo e sul diverso da me, insegnandomi a non diffidarne; mi ha avviato alla comprensione della politica e della società.

Tra i Padri, conservo un grato ricordo dei tre Rettori: P. Josto Sanna e P. Bosco a Bonorva e P. Aldo Piloni, a Cuneo.

P. Sanna mi è rimasto impresso come il Gesuita politico. Egli, infatti, conosceva il russo e riceveva e leggeva la Pravda. È lui che ci diede la notizia della morte di Stalin. Mi coinvolse anche nell’infuocata campagna elettorale per le elezioni politiche del 1953, bollate, allora e per sempre, dalla propaganda del Partito Comunista come le elezioni della “legge truffa”. In quelle elezioni P. Sanna fece comizi in tutta la Sardegna e, in piazza a Carbonia, sostenne un contradditorio pubblico con Renzo Laconi.

P. Bosco lo percepii come un aristocratico torinese distaccato e molto compreso di sé. E tuttavia, nell’estate del 1955, ci portò per un mese a Muzzano, facendoci visitare Torino, Biella e il Santuario di Oropa. A Torino passammo un’intera serata nella casa del fratello, guardando per la prima volta la televisione e facendo una bella merenda. Nel viaggio di ritorno ci portò a visitare Roma e a una udienza con il papa Pio XII a Castel Gandolfo.

P. Piloni manifestava una naturale attitudine paterna. Quando andavo a trovarlo, mi accoglieva con l’espressione “figlio caro, figlio caro tu sei in pericolo”, ma ne uscivo sempre rassicurato e rasserenato. Effettivamente ero un po’ vivace e tendevo naturalmente a uscire dalle regole.

Tra i Vice-Rettori ricordo solo P. Francesco Serra di Cuneo, uomo d’ordine e onnipresente.

Ho avuto quattro Prefetti: i Padri Marchiaro e Tosoni, a Bonorva e i Padri Burroni e Sansone, a Cuneo. Dei primi due ricordo solo il sorriso triste di P. Marchiaro; P. Burroni e P. Sansone, invece, hanno lasciato tracce profonde. Con il P. Sansone, in particolare, si è sviluppato il mio interesse per la politica (sotto la sua regia avevamo seguito alla radio e alla televisione la rivoluzione Ungherese del 1956 e partecipato a qualche manifestazione in città) e per i temi sociali (mi faceva leggere di nascosto la rivista “Aggiornamenti Sociali” guardata allora con sospetto anche all’interno della Compagnia di Gesù).

Tra i Padri spirituali, ricordo P. Demichelis, missionario espulso dalla Cina, a Bonorva e P. Pierino Ghi, a Cuneo. P. Ghi era un uomo pieno di scrupoli incerto e tormentato, ma preferivo andare da lui perché lo percepivo come un vero credente e uomo di Dio.

Tra i professori di Bonorva, ricordo solo P. Delerba, che insegnava lettere, mentre molti di più sono quelli di Cuneo, ad iniziare da P. Flecchia, Preside e professore di latino e di greco; P. Farotti, professore di matematica (conservo ancora il suo testo ciclostilato di geometria); il flemmatico P. Nesle, professore di italiano; P. Scheffter, francese alsaziano, già professore all’Università Aurora di Shangai, espulso anche lui dalla Cina, professore di francese, lingua mai dimenticata; il pirotecnico P. Cerbara, professore di storia e geografia (quando non sapevamo che cosa rispondere, ci apostrofava dicendo “hai la testa più dura del marmo di Carrara, del granito di Belmonte e del travertino di Roma”).

Tra i ricordi più nitidi e più emozionanti ci sono quelli di alcuni Fratelli Coadiutori: Fratel Moretti, Fratel Gallonetto e Fratel Pollastri, a Bonorva e Fratel Cavagliato, a Cuneo. Avevo un’ammirazione e un affetto particolare per loro. Mi colpiva la loro vita: erano i primi ad alzarsi e gli ultimi ad andare a dormire. La loro giornata si divideva tra il lavoro e la cappella. Non li ho mai visti in ozio a chiacchierare e a perdere tempo. Mi piaceva andare ad aiutarli nel loro lavoro, in cucina e nella soluzione dei piccoli problemi di casa. Mi hanno insegnato la laboriosità e la costanza, la ricerca della compiutezza e del lavoro ben fatto.

È più difficile parlare dei compagni, ho dimenticato molti dei loro nomi, alcuni, al contrario, li ricordo molto bene. Appartengo al primo gruppo che ha dato vita alla scuola di Bonorva. Ricordo bene Francesco Ena, di Bitti; Salvatore Pittalis, di Cheremule; Marroccu, compidanese di Nurri (?), Fais di Siniscola (?), Aghedu di Sedilo…etc. tra gli interni; i fratelli Pietro e Giovanni Pietri, Franco Masala, Gianni Saba, Franco Lugliè…etc., tra gli esterni. Tra i compagni degli anni successivi, ricordo Santino Marteddu (detto “l’onorevole”, per la sua imponenza), Franco Casula, bravissimo giocatore di calcio, Gianni Contena, Giovanni Longu, ecc.

A Cuneo sono stati miei compagni: P. Francesco Bosio, P. Cesare Giraudo, P. Elio Sciucchetti, Mario Casagrande, i fratelli P. Saturnino e P. Anselmo Muratore. Non ricordo nessun nome degli esterni.

La scuola di Bonorva era ospitata in una grande casa padronale, insufficiente a contenere una comunità di diverse decine di persone come era previsto dovessimo diventare. Infatti, fu radicalmente trasformata e ampliata già dal secondo anno. Ben altra dimensione aveva il Collegio di Cuneo, una casa che mi apparve immensa, con addirittura un grande teatro, campi sportivi, aule e sale di ogni genere e una bellissima cappella.

La nostra vita di “interni” era scandita dal suono degli orologi a pendolo e dal fischietto del P. Prefetto. Ho ancora nelle orecchie la musica del pendolo di Bonorva! Orari per le lezioni, per la ricreazione, per lo studio, per i pasti e per il riposo. Tutto era a orario. E infatti ho condotto una vita estremamente metodica. Così ho continuato, naturalmente, in fabbrica, dove, al posto del pendolo e del fischietto, é subentrata la sirena, molto meno poetica e rassicurante. Nei giorni di riposo o di festa facevamo gite e lunghe passeggiate, ascoltavamo musica, vedevamo film, abbiamo messo in scena piccole opere teatrali, organizzato intrattenimenti per festeggiare anniversari e ricorrenze. Avevamo sempre qualche Padre che sapeva suonare e dirigere un coro, per questo le nostre liturgie erano sempre ben curate e, nelle ricreazioni, non mancavano mai i canti di montagna…

Riflettendo da grande, mi sono sempre chiesto che cosa avesse spinto la Compagnia di Gesù a investire ingenti risorse umane e finanziarie in un’opera,- la formazione di Missionari Gesuiti, - così clamorosamente mancata. Non c’è, infatti, proporzione tra il numero di ragazzi passati nelle Scuole Apostoliche e quanti di loro sono, poi, diventati effettivamente Gesuiti e Missionari.

Noi che abbiamo studiato a Bonorva, a Cagliari e a Cuneo, eravamo quasi tutti figli di povera gente, naturalmente destinati a svolgere anche “bene” un mestiere o un’attività, oppure a fare i contadini o i pastori. Pochissimi di noi, con le sole forze della nostre famiglie, avrebbero potuto studiare e accedere a professioni mai neppure sognate dai nostri antenati. Lo abbiamo potuto fare con l’aiuto della Chiesa e della Compagnia di Gesù. I Gesuiti, in tutte le loro opere, hanno sempre mantenuto uno sguardo lungo: più che al loro interesse, hanno sempre anteposto il bene della Chiesa e anche della società.

Il Gesuita è educato a essere un uomo per gli altri.

Gli Antichi Alunni di Bonorva, di Cagliari e di Cuneo se non sono diventati Missionari Gesuiti, sono stati educati ad essere buoni cristiani, a volte anche molto impegnati in attività apostoliche, culturali e sociali. Tutti, comunque, si sentono cittadini consapevoli e responsabili, che hanno messo e mettono a disposizione degli altri il grande patrimonio di cultura, di laboriosità e di impegno che i loro Maestri hanno saputo depositare, con abbondanza, nel loro cuore.

Grazie cari Padri e Fratelli! Grazie Compagnia di Gesù! A.M.D.G.

 

 

 
 
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