PADRE
GABRIELE NAVONE (“JUNIOR”)
(dall'incontro del 26 Agosto 2016 a Cambiano - TO)
Padre Gabriele nasce a Cambiano (TO), quartiere La Pantalera, nel 1937. E’ora
già prossimo, dunque, agli 80 anni, che tuttavia dimostra di portare molto bene.
Ha mantenuto la sua proverbiale vèrve, solo un po’ più pacata, lo spirito sempre
vivido, forse meno gioviale ma più ironico, del già giovane assistente che non
mancava di stupirci. La sua narrazione è sintetica, essenziale, con qualche
concessione agli aneddoti, che ben rimarcano la sua figura e che in parte
segnarono, come in una corsa ad ostacoli, la sua esistenza.
«A 11 anni –
racconta – entrai alla Scuola Apostolica, che allora aveva sede a Muzzano
(Biella), e in quarta ginnasio passai a Cuneo dove nel frattempo era stata
trasferita. Poi entrai in Noviziato, un anno a Fiesole con padre Bachelet
(fratello del magistrato poi vittima delle Brigate Rosse) quale maestro e due
anni ad Avigliana sotto la guida di padre Trapani. La formazione comprendeva,
tra l’altro, i classici esercizi spirituali di Sant’Ignazio, della durata di un
mese, che, oltre alla meditazione su vari temi, miravano ad approfondire la
conoscenza della storia e della spiritualità dei gesuiti. Al termine del
triennio fui classificato con il giudizio: “Ha buona stoffa, ma non è adatto per
entrare nella Compagnia di Gesù”».
Come il ragazzo Gabriele abbia maturato la sua vocazione non è stato detto, ma
senz’altro ha giovato alla sua scelta l’humus della famiglia e il fatto che un
suo zio, il suo omonimo “Senior”, considerato anche uno dei più apprezzati
predicatori dell’epoca, avesse già intrapreso la strada tra i discepoli del
Loyola. E la sentenza che il giovane “non fosse adatto” non lo distoglie dal
proseguire sul cammino verso la meta cui ambisce.
«La decisione di
ammettermi o no venne solo rimandata. Trascorsi così altri tre anni ad Avigliana,
chiuso lì con i compagni – allora eravamo chiamati “Carissimi” – per frequentare
il Liceo e restare sotto osservazione. Poi altri tre anni a Gallarate per lo
studio della Filosofia. Quindi al San Tomaso di Cuneo, come prefetto degli
Apostolici, l’anno scolastico 1961/62. Il periodo di questa esperienza durava di
solito due anni, ma dopo uno solo, “per indisciplina”, io e il collega Antonio
Ponsetto fummo allontanati e mandati all’Istituto “Sociale” di Torino.
Evidentemente non rientravano “nei quadri” prefissati dai superiori per i
metodi educativi di allora. Padre Ponsetto diventerà poi un bravo insegnante di
Filosofia, addirittura professore in importanti Università della Germania».
Che padre Navone fosse un po’ un libero battitore l’hanno capito anche i ragazzi
della Scuola Apostolica. Un padre prefetto geniale, che ispira subito fiducia,
un vulcano di idee, animatore della combriccola con i suoi corsi di inglese, di
ascolto della musica classica, le esibizioni di magia, il teatro dei burattini e
le recite dal vivo ispirate a codici di invenzione creativa. Un aspirante prete
ricco di risorse, anticipatore dei tempi e fuori dagli schemi canonici. Ma, nei
tempi ancora ingessati del pre-Concilio, visto dall’alto un po’ come un ribelle
e pertanto non troppo gradito per il suo slancio innovatore e modernizzatore.
«Il primo giorno
che misi piede al San Tomaso il rettore, padre Leonardo Capitta, mi raccomandò:
“Soprattutto sia serio!». Ma già alla sera i ragazzi dicevano: «Chi è quel padre
che ride sempre?». Così l’avventura a Cuneo finì anticipata, colpa forse anche
dell’allestimento di quella famosa sacra rappresentazione con proiezioni
all’aperto, in cui San Giuseppe era un benzinaio e la Madonna una dattilografa …
Uno spettacolo di “rottura” per quei tempi, interrotto sul più bello
dall’improvviso arrivo del rettore e severamente censurato come irriverente. La
mia nuova destinazione fu via Arcivescovado a Torino, prima sede del “Sociale”,
poi alla “Villa Tesoriera”, dove l’Istituto venne trasferito. Facemmo il
trasloco durante le vacanze. Nella nuova residenza si respirava più aria, con
quel bel parco ancora incolto che invitata ad altre avventure. Vi trascorsi tre
anni, poiché ancora una volta non ero ritenuto arruolabile. Alla fine del
triennio, infatti, mi chiamò il padre superiore, comunicandomi il verdetto: “Ho
trasmesso le informazioni per l’accesso alla Teologia, ma sono tutte negative.
Se nel frattempo ti mandiamo in Madagascar, intanto impari le lingue…”. Io avrei
preferito andare in Thailandia per avere la possibilità di conoscere meglio il
Buddismo che allora mi ispirava. Ma alle ore 12 di quello stesso giorno, i capi
tutti d’accordo, era già stato deciso il mio invio in Madagascar».
Per padre Navone il percorso verso il sacerdozio e l’ingresso a pieno titolo
nella Compagnia si fa nuovamente più lungo e questa volta viene fatto passare
per la lontana isola africana, senza ancora che si potesse prevedere che il
Madagascar non sarebbe stato per lui solo una tappa, ma la meta definitiva e
infine amata.
«Partii nel
1965. Il Madagascar, già colonia francese dal 1895 e indipendente dal 1960,
aveva una storia antica, ma era una nazione giovane che muoveva i primi passi
sulla via dell’affrancamento dai vecchi padroni. I francesi non erano più tanto
graditi, così a dirigere la missione era stato mandato un padre italiano, già
provinciale dei gesuiti nella provincia torinese. Dedicai il primo anno allo
studio della lingua malgascia, che affrontai con metodo tutto mio, partendo
dalla grammatica. Poi tre anni allo studio della Teologia, al termine dei quali
il padre provinciale scrisse di me al suo corrispondente italiano: “Sì, può fare
il prete, ma non è tagliato per restare in Madagascar”. Ormai ci sono da 51
anni. Sono poi stato nominato parroco “provvisorio” di una parrocchia senza
preti nella periferia di Antananarivo. Lo sono stato per 27 anni e ora, da 12,
in un’altra parrocchia».
«Per conseguire
il dottorato alla Gregoriana avevo scelto di discutere la tesi con uno studio
sul patrimonio linguistico-orale della tradizione malgascia. Non volevo,
infatti, stare a Roma e invece di un lavoro più ortodosso sulla Teologia morale
proposi appunto come tema “La morale dei proverbi malgascii”. Il professore mio
relatore rifiutò: “E’ impossibile che uno straniero possa fare una tesi sulla
cultura malgascia”. Ma poi venne accettato, l’elaborato venne pubblicato nel
1969 e viene ristampato e diffuso ancora oggi. E, fino a qualche anno fa, tra i
testi fondamentali per sostenere l’esame di filosofia alla maturità nelle scuole
del Paese, accanto ad autori quali Marx e Mao, c’era anche il Navone».
Padre Gabriele finalmente ha compiuto, pur dopo non pochi contrasti, il suo
lungo iter e diventa sacerdote Societatis Jesu. Il Madagascar – salvo brevi
parentesi in Italia per incontrare parenti, confratelli e amici – diventa la sua
patria adottiva, alla quale si sente sempre più legato e dedica tutto se stesso,
dividendosi fra mille attività e nuove iniziative durante le sue intense
giornate che cominciano assai presto, prima dell’alba.
«L’attuale parrocchia conta 90 mila residenti, di cui 22 mila cattolici, ed è
suddivisa in vari distretti, ciascuno con i suoi responsabili. Mi alzo alle 4,30
del mattino. Alle 6 celebro la messa in chiesa e poi comincia il tour per andare
a fare lezione in varie istituzioni scolastiche. Alla sera passo a trovare le
famiglie, facendo il giro di tutte insieme ai gruppi responsabili di ogni
quartiere. La visita completa è un impegno che richiede almeno due anni. Poi c’è
la Scuola parrocchiale, che conta 1400 alunni, 75 per classe, fino alla Media
(la retta mensile è di 2 euro per alunno), con insegnanti laici che ricevono una
paga. Il prossimo anno apriremo il Liceo».
«Non trascuro nemmeno di continuare a scrivere, libri in lingua malgascia su
argomenti inerenti la
pastorale. Ne ho messi insieme sinora una collana di 35. Il tempo per comporre
lo trovo quando vengo in Italia a casa della sorella Dina. Nei momenti di
tranquilla solitudine metto giù, a mano, con una impostazione della pagina che
mi porto dietro dai tempi del “Sociale”, la maggior parte del brogliaccio,
confortato da un bicchierino di Martini. Quando poi faccio ritorno in
Madagascar, provvedo alla revisione del testo e della lingua e il libro viene
dato alle stampe».
Verso la fine dell’incontro padre Gabriele mostra ai presenti un disegno. E’ del
nuovo campanile che attualmente è in costruzione accanto alla chiesa. Un
campanile, anche questo, fuori dagli schemi della solita, pur varia,
architettura. L’ampia base con volta è a forma di grotta, che accoglie la
Madonna. La sormonta uno stelo che, a mezza altezza, si apre come il bulbo di un
fiore. In cima, sulla cuspide, s’innalza la croce. Tutto è carico di simbologia
cristiana. Il progetto, naturalmente, è ispirato dallo stesso padre Navone.
Altre cose ha ricordato il padre missionario della sua esperienza e ci sarebbe
altro da riferire. Tra le pieghe della conversazione è venuto fuori anche un suo
personale giudizio, positivo, sulla figura di papa Bergoglio e un inedito
racconto di come il gesuita piemontese-argentino sia diventato papa. Preziosi
pure i suggerimenti dati per chi voglia contribuire all’opera dei missionari
gesuiti, che purtroppo mancano di una apposita organizzazione per l’invio
diretto di aiuti a quanti sono sul fronte.
TESTIMONIANZA DI
GIANFRANCO RICCI
(Trascrizione tal quale del testo originale scritto da Gianfranco)
A proposito di San Giuseppe falegname-benzinaio, mi ricordo che questa
proiezione riguardava la vita di Cristo con foto-immagini di vita quotidiana.
Venivano proiettate al campo di calcio dove c’era la statua della Madonna in
marmo. Davanti c’era un telo su cui venivano proiettate le immagini. Mi ricordo
che era sera e faceva caldo.
La Crocifissione di Cristo era ripresa da un giornale dove c’era l’immagine-foto
di un partigiano algerino crocifisso da due militari francesi durante la guerra
d’Algeria. I militari erano inginocchiati in terra e inchiodavano l’algerino
riverso sulla croce in terra. Mi ricordo che nella divisa dei francesi c’era
anche qualcosa rosso, non so se il berretto o altro.
Arrivò padre Capitta e in un batter d’occhio ci fece sospendere la proiezione.
[Padre] Gabriele c’era rimasto molto male. Il proiettore aveva un nome
particolare, riusciva a proiettare anche foto e immagini. La foto sul giornale
l’avevo ritagliata io insieme a Gabriele, prefetto dei “Piccoli”, se non ricordo
male. |